Editoriale

LXXIV, N. 1. Progetti nel cassetto Editorial / Projects in the drawer

Editoriale del direttore

Andrea Longhi

 

Il primo fascicolo del 2020 è l’esito di un lavoro che si è sviluppato interamente durante il periodo dell’emergenza sanitaria, che ha obbligato studiosi e professionisti a condurre una vita appartata e confinata, seppur fortemente “connessa”. Un perio-do di ansia, collettiva e personale, ma anche di ripensamento sul senso delle scelte, delle priorità, delle gerarchie di valore, sia private sia sociali.

Le proposte di articolo pervenute in redazione durante il lockdown non tematizzano la questione sanitaria e sociale – e del resto sarebbe stato prematuro (le riviste scientifiche hanno iniziato a proporre call tematiche sul tema alcuni mesi dopo) – , ma sono il frutto di una riflessione forzatamente sedentaria sul lavoro di ricerca e di progetto, condotta “a freddo”, andando a rileggere criticamente progetti e operazioni tenuti in serbo nel cassetto, potremmo dire, in attesa di poter tornare a uscire sul campo e in cantiere.

L’esito è interessante, perché – in prima lettura – delinea un quadro di esperienze molto concrete, operative, professionali, come se la condivisione di un periodo di disagio portasse a rifugiarsi nella ricerca di certezze tecniche. Leggendo più a fondo i contributi, emerge tuttavia una interessante dimensione inquieta e aperta della ricerca progettuale, che non è segnata dalla definitività dell’esito, dalla spasmodica ricerca del risultato corretto e perfetto, ma piuttosto dalla fiducia nel metodo, nel rigore del pensiero e dei criteri di discernimento critico. Il rimedio all’instabilità risiederebbe dunque nella fiducia nel me-todo, piuttosto che nei risultati, che eventi imprevisti (ma non imprevedibili) potrebbero sempre inficiare. Consideriamo la sequenza dei saggi raccolti nella Rassegna. La ricerca storica – volta sia alla conoscenza, sia alla conservazione – adotta una pluralità di metodi di indagine, il cui esito è una continua riapertura di problemi, e non la definizione di risultati incontro-vertibili. Così pure le azioni di valorizzazione del patrimonio – seppur rette da valutazioni e procedure verificabili – sono opportunità che restano aperte al contributo originale delle comunità, e non processi esatti. Anche le valutazioni tecniche su manufatti edilizi storici o di recente costruzione sono finalizzate a mettere a disposizione strumenti critici, a sottolineare potenzialità e opportunità, e non ad avallare atteggiamenti rigidamente quantitativi e deterministi. Da ultimo, la discus-sione del concreto rapporto tra musica e tecnologia documenta come le relazioni tra cultura umanistica e cultura scientifica non siano una semplice aspirazione, ma una pratica quotidiana, che dà esiti arricchenti sotto molteplici punti di vista, tanto nella ricerca quanto nella vita delle persone. In sintesi, gli autori che hanno proposto saggi alla Rivista in questi mesi hanno voluto raccontare esperienze estremamente concrete e vitali, non astratte riflessioni sul ruolo del progetto durante e dopo la pandemia: percorsi effettivamente battuti, con prudenza ma con maturità, in cui le diverse discipline hanno contribuito a una più approfondita lettura critica della realtà, in termini sempre propositivi e progettuali.

Le Cronache riportano ampia documentazione delle attività SIAT del 2019, poste sotto il titolo “Ieri già futuro”. Ripercorrere le tappe e i temi degli incontri suscita ora, alla luce degli eventi successivi, ulteriori riflessioni sulla capacità degli intellettuali tecnici di interpretare i segni dei tempi, le aspirazioni della comunità scientifica e della comunità civile, gli interessi ope-rativi per il bene comune. I personaggi che hanno accompagnato la storia della SIAT hanno infatti attraversato momenti di crisi politica, bellica ed economica, offrendo ogni volta un contributo scientifico e artistico specificamente orientato ad affrontare in termini critici le questioni più sensibili. Contributi di pensiero, progetto e azione, che paiono tanto più preziosi in momenti in cui l’ansia porta ampie fasce di popolazione a cercare conforto in sedicenti esperti, improvvisati o dilettanti. La storia della SIAT possa costituire la traccia su cui continuare ad operare, tanto nella pedagogia quanto nella costruzione di nuove aspirazioni condivise. La sintesi delle attività è curata da Beatrice Coda Negozio, che ha guidato la SIAT nel triennio 2016-2019 e che ha promosso, con determinazione, la riforma digitale della Rivista e la scelta coraggiosa di renderla open access; penso che tutti i lettori di «Atti e Rassegna Tecnica» le debbano gratitudine.

Da ultimo, uno sguardo sul Novecento tutt’altro che retrospettivo: l’omaggio che la SIAT ha reso ad Andrea Bruno, Pietro Derossi e Aimaro Isola non è una pagina di storia, ma una riflessione sul futuro del progetto e sulla formazione dei progettisti ad ascoltare le richieste più profonde delle comunità al cui servizio sono chiamati a svolgere la propria missione intellettuale.

 

Buona lettura.

 

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