Editoriale

a. LXXI, N. 1-2-3. Progetti pazienti / Patient designs

Editoriale del Direttore

Andrea Longhi

Nella seconda delle Lezioni americane, Italo Calvino – discutendo della rapidità – si sofferma sul motto festina lente, ricordando come il «fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani nello spazio e nel tempo» non possa essere dissociato da «una paziente ricerca del mot juste». Se molte delle pratiche sociali con cui le nostre professioni hanno a che fare sono ritmate dal contrasto tra velocità (sempre indispensabile!) e lentezza (sempre deprecabile!), questo fascicolo di «Atti e Rassegna Tecnica» può essere letto come proposta di superamento di tale antinomia, riscoprendo il valore della «paziente ricerca» richiamata da Calvino, in quanto la virtù inattuale della pazienza include tanto le lunghe attese quanto le tempestive risposte, tanto la lentezza dell’indagine quanto la velocità dell’intuizione. Il tempo – così prezioso in tutte le nostre professioni intellettuali – non è misurabile solo in modo strumentale, non è isotropo, non è puro cronometraggio: il progetto viene formandosi con lunghe attese e scarti repentini, affaticamenti ed entusiasmi, è scandito da tempi vuoti e da tempi opportuni, nei quali solo l’ascolto paziente di tante voci e la disciplina dell’attenzione verso contributi plurali può modulare in modo credibile velocità e lentezza, puntualità e vulnerabilità, spontaneità e mediazione.

Negli Atti sono raccolti alcuni dei contributi presentati al convegno SIAT su Conservazione e manutenzione del patrimonio edilizio, ai quali sono sottesi alcuni quesiti di fondo: qual è il tempo opportuno per intervenire sul patrimonio? Come dosare, con pazienza e saggezza, un approccio prudentemente conservativo e la necessaria tempestività nel far fronte ai fattori di degrado e di obsolescenza? Il tema manutentivo, per sua natura, è basato proprio sulla misurazione qualitativa
del tempo, e sulla valutazione dell’azione esercitata dal tempo sullo spazio e sulla materia: è problema tecnico, ma anche di pensiero. Il tema viene enunciato nelle relazioni, ma certamente la SIAT investirà ulteriori risorse nello sviscerarne le diverse implicazioni.

I primi quattro contributi della Rassegna (Stella, Marzi, Davico e Devoti, Mafrici) affrontano temi legati alla storiografia delle discipline politecniche e alla storia del patrimonio culturale: diverse le scale di lavoro e i temi, ma comune è la narrazione di una paziente ricerca, condotta praticando veri e propri «progetti di conoscenza» (per dirla con Vera Comoli), ricalibrati ogni volta su specifici contesti epistemologici. Due articoli (Scolfaro e Vietti) affrontano ragionamenti su temi sociali e ambientali, in cui il tempo necessariamente si dilata, e in cui la progettazione di interventi richiede investimenti generazionali, nei quali la paziente attesa degli esiti deve fare i conti con la tempestività del monitoraggio delle dinamiche e con l’attenta misurazione dei fenomeni. L’intervista a Valdinoci pone un altro quesito temporale: come conciliare i tempi delle riforme liturgiche, che scandiscono la vivace storia delle Chiese-comunità, con i tempi delle chiese-edificio, la cui natura monumentale potrebbe erroneamente indurre verso una conservazione a-temporale?

Il Politecnico è al centro di diverse riflessioni. Due interventi (Barioglio, Berta e Rolfo) pongono il tema del rapporto tra i tempi della formazione universitaria e i tempi di trasformazione della città: la velocità dei cambiamenti nelle professioni, nelle tecnologie e nei metodi didattici (e quindi degli spazi di ricerca e didattica) è compatibile con i tempi lunghi delle trasformazioni urbanistiche? in che modo gli scenari urbani di lungo periodo convivono con la “temporaneità” di alcune soluzioni? Altri quattro interventi (Gavello, Mafrici, Somma e Surra, De Lucia) ragionano sul rapporto tra i tempi della formazione accademica e quelli della vita professionale: la didattica innovativa dei workshop propone momenti di raccordo tra l’università e i contesti lavorativi, in cui studenti e giovani professionisti imparano a mediare tra la costruzione faticosa di abilità interdisciplinari e l’esigenza di dare risposte tempestive ai propri committenti. Lo sviluppo di progetti di conoscenza a cavallo tra comunità scientifica e società civile impone ai progettisti l’esercizio a volte eroico della pazienza, virtù non sempre incoraggiata dai curricula universitari: non solo negli ovvi aspetti amministrativi e burocratici, ma anche nel sapiente dosaggio delle proprie risorse intellettuali ed emotive, talora dilapidate in nome dell’immediatezza dei risultati.

Un’ampia rassegna di mostre, convegni, pubblicazioni e siti, infine, offre più di venti proposte di approfondimento.
Una nota solo sulla prima, cui dedichiamo anche la copertina del fascicolo: la recensione dell’ultimo libro di Pier Tosoni (1944-2016) presenta il ricordo di un protagonista della cultura politecnica che – coraggiosamente – ha reso la pazienza una delle parole chiave della didattica della progettazione, da Il gioco paziente sul magistero di Biagio Garzena (1992) fino ai suoi ultimi scritti, qui ricordati.

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